Noi esseri umani riusciamo a valutare la realtà che ci circonda, a fare inferenze e verificare ipotesi, a prendere decisioni, a raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati, a risolvere i problemi e le difficoltà che incontriamo, a pianificare le azioni e a prevederne gli esiti, e così via. Questa non è una novità. Tutti sanno che noi esseri umani funzioniamo in modo molto sofisticato. In pochi sanno che queste capacità sono in larga parte inconsce perché, se non lo fossero, difficilmente potremmo stare di pari passo con la velocità con cui si svolge la vita di tutti i giorni. Facciamo un piccolo esperimento. Immaginiamo di trovarci in macchina e di guidare verso il luogo di lavoro. Tutt'a un tratto un gatto attraversa la strada. Così, per non prenderlo, freniamo di botto e sterziamo il volante a destra per evitare anche il cassonetto sulla sinistra. Quanto tempo abbiamo impiegato per processare tutte le informazioni e per agire nel modo migliore? Non più di qualche millesimo di secondo. Se avessimo impiegato di più, ossia se avessimo pensato consciamente alla strategia migliore da mettere in atto, non saremmo riusciti a evitare l'impatto. Questo esempio ci permette di vedere come, grazie al funzionamento inconscio della mente, possiamo, in modo molto rapido, valutare la situazione che stiamo vivendo e scegliere la strategia migliore per gestirla. In altre parole, ci permette di vedere come siamo inconsciamente in grado di fare molte delle cose che siamo in grado di fare consciamente. Tra queste, la capacità di svolgere delle azioni con l'intenzione (inconscia) di mettere alla prova la validità delle credenze patogene, quelle che, originando da traumi precoci, ci suggeriscono di rinunciare a un obiettivo piacevole per evitare che il trauma (da cui originano) si ri-verifichi. Facciamo un esempio. Da piccoli abbiamo fatto esperienza di un genitore che pretendeva, più o meno esplicitamente, che stessimo vicini a lui e che reagiva male a qualsiasi nostra spinta verso l'autonomia. Andavamo a scuola e al ritorno lo trovavamo depresso, avanzavamo il desiderio di uscire e si arrabbiava, esprimevamo la voglia di partire e si intristiva. Così abbiamo appreso che dovevamo inibire tutti quei bisogni e desideri che, per essere perseguiti, ci avrebbero allontanato da lui allo scopo, in quel momento adattivo, di preservare il legame. Da grandi questa credenza patogena, quella per cui "se ci allontanassimo dalle persone per noi importanti, rischieremmo di farle soffrire e/o di perdere la relazione con loro", continua a regolare il nostro comportamento e le nostre aspettative relazionali causando sofferenza. In altre parole, da grandi, continuiamo a pensare che "se ci allontanassimo dagli altri, loro ne soffrirebbero e/o rischieremmo di perderli" e, di conseguenza, continuiamo a non farlo o a farlo sentendoci molto in colpa. Data la sofferenza che proviamo a causa di questa credenza patogena siamo molto motivati (e impegnati) a verificare se e in che misura, ancora oggi, quando ci allontaniamo dagli altri, li facciamo soffrire o mettiamo a repentaglio il rapporto con loro. Per farlo, usiamo diverse strategie (per un approfondimento vedi https://www.counselling-cmt.it/home/articoli/come-mettiamo-alla-prova-le-nostre-credenze-patogene-nel-rapporto-con-gli-altri/), ossia diversi comportamenti interpersonali tesi a verificare se e in che misura le credenze patogene ci proteggono da pericoli ancora reali o se possiamo abbandonarle. Uno psicologo può aiutarti a conoscere le credenze patogene che sono alla base dei sintomi, delle inibizioni e dei comportamenti disfunzionali che compromettono il tuo benessere e a diventare consapevole dei modi attraverso cui le metti alla prova nel rapporto con gli altri. Impara a conoscerti, impara a parlare al tuo inconscio!
Dott.ssa Federica Genova