Che ci faccio con la rabbia?
A volte arrabbiarsi può fare paura, può farci sentire in colpa, cattivi, sbagliati, eccessivi o fuori controllo.
Culturalmente siamo indotti ad associare la rabbia ad una persona poco paziente, poco accogliente, quasi “pazza”.
La rabbia, al contrario, è un'emozione innata, universale (riguarda tutti noi) ed è indispensabile alla nostra sopravvivenza. Ha la funzione di segnalare all'altro che esistiamo, che i nostri bisogni sono importanti e non vanno calpestati; è un urlo che grida: “così mi fai male!”. A volte è un grido d'aiuto nei confronti di chi amiamo ma non ci sente, una richiesta d'amore e di comprensione. Altre volte, specie in adolescenza, è un modo per affermare la propria autonomia, la propria indipendenza.
Quando la esprimiamo all'interno del rapporto con le persone che amiamo, la rabbia ha, inoltre, la funzione di dissuadere la persona a cui siamo legati dal mettere in atto comportamenti che metterebbero a repentaglio la relazione con lei.
La rabbia, pertanto, è un allarme importante, che va accolto e ascoltato, non represso o criticato. Ma non va sempre così...
I “problemi con la rabbia” possono essere distinti in due grandi categorie:
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A volte non si riesce a gestirla e, prepotentemente, essa si manifesta in maniera eccessiva o distruttiva;
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altre volte si ha l'idea di doverla controllare, sopprimere, anche quando sarebbe proprio il momento di esprimerla e farci valere. In questi casi, spesso ci arrabbiamo con noi stessi, ci rattristiamo o cadiamo preda di un malessere fisico che può andare da una tensione muscolare snervante a un forte mal di pancia.
Da dove vengono questi problemi?
Ogni bambino ha bisogno di genitori che accolgano, comprendano e, quando necessario, mettano dei limiti amorevoli alla sua rabbia. Al contempo, ha bisogno di imparare da loro che la rabbia può essere espressa senza che ciò significhi mettere in discussione il rapporto con l'altro, cancellare l'amore nei suoi confronti o calpestarne i bisogni. In altri termini, ogni bambino ha bisogno di imparare a usare la rabbia come strumento di libertà: un modo per affermare se stesso e i suoi bisogni, senza limitare la libertà altrui.
Quando ciò non avviene, il bambino, come il futuro adulto, può:
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evitare di esprimere la propria rabbia, lasciarsi maltrattare, comportarsi in maniera contraria alla propria volontà per assecondare le persone a cui tiene, anche quando ciò significa schiacciare i propri bisogni ocompiere azioni illegali. Ciò può essere l'esito di relazioni familiari che hanno costantemente condannato la rabbia e il disappunto come qualcosa che ferisce l'altro, mette a rischio i rapporti o porta a non essere accettati;
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esprimere la propria rabbia in maniera eccessiva come reazione all'idea che l'altro, come i proprio genitori quando era piccolo, non abbia alcuna intenzione di prendere in considerazione il proprio disappunto e il proprio punto di vista;
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arrabbiarsi, aspettandosi che la persona che amiamo possa voler ignorare i nostri bisogni come hanno fatto i nostri genitori (ad esempio, chi crede di essere destinato al rifiuto perché è stato sempre poco considerato dai propri genitori, può arrabbiarsi quando non riceve una pronta risposta alle sue telefonate nella convinzione che ciò implichi una mancanza di interesse nei suoi confronti);
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arrabbiarsi in maniera immotivata o di fronte a qualcuno che sta perseguendo un suo legittimo bisogno, poiché identificato con un genitore, o un'altra figura significativa, maltrattante.
Quando non riusciamo a comprendere la nostra rabbia, sentiamo di non poterci arrabbiare mai o abbiamo scoppi di rabbia incontrollati che portano a risvolti controproducenti, rivolgersi a uno psicologo potrebbe aiutarci a comprendere come le esperienze che abbiamo vissuto possano averci portato a perdere la possibilità di usare la rabbia in maniera sana e, soprattutto, a re-imparare a utilizzarla come carburante nobile per la nostra libertà e per la nostra felicità.
Dott.ssa Giorgia Abate